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La Responsabilità per i Lavoratori nelle Società Collegate

La Responsabilità per i Lavoratori nelle Società Collegate

Gruppi di imprese. Chi paga?

Il 79,5% delle aziende italiane sono microimprese (da 3 a 9 dipendenti); il 18,2% sono imprese di piccole dimensioni (10-49 dipendenti); mentre le imprese medio-grandi (50-249 dipendenti e da 250 in poi) rappresentano unicamente il 2,3% del panorama imprenditoriale italiano. (1)

I dati così raccolti non sorprendono gli addetti ai lavori consci che il tessuto economico italiano è costituito da piccole imprese; e purtuttavia, negli ultimi anni, si assiste ad un fenomeno di raggruppamento delle società.

È ovvio che le imprese devono necessariamente rapportarsi fra loro al fine della produzione, eppure i collegamenti negli anni si fanno sempre più forti ed a volte fumosi, creando una rete miceliale su tutto il territorio.

Il fenomeno aggregativo di imprese è ben conosciuto nel settore degli appalti pubblici, ove raggruppamenti temporanei di imprese (c.d. join venture) partecipano ai bandi come un’unica entità in modo da poter soddisfare tutti i requisiti.

Parallelamente, anche nel settore privato si assiste ad un fenomeno aggregativo, a volte fisiologico, come i gruppi di società che condividono la medesima filiera di produzione ed a volte patologico come le holding personali.

In questo panorama la normativa lavoristica ancora non ha avuto modo di adeguarsi al fenomeno aggregativo, tanto da portare a ritenere alcuni scrittori che “nessuna disposizione ci autorizza a ritenere che sia costruibile una sorta di soggettività unitaria nell’ambito di imprese fra loro collegate”(2)

D’altro canto, il diritto vivente – quello dei tribunali e degli avvocati – si trova sempre più spesso di fronte a fenomeni di compenetrazione di imprese a discapito dei lavoratori a cui è necessario trovare un rimedio.

Il collegamento fra due società – Il dato normativo

Ai sensi dell’art. 2359 c.c. sono considerate controllate le società sulle quali un’altra società ha modo di esercitare un’influenza dominate secondo la casistica riportata.
L’art. 2497 c.c. dispone che le società controllanti sono responsabili nei confronti dei soci della controllata e nei confronti dei creditori sociali per le lesioni cagionate all’integrità del patrimonio della controllata e nei limiti del vantaggio conseguito.

La norma di settore non prevede alcuna disciplina con riguardo ai lavoratori della società controllata che, qualora intendano rivalersi sulla società controllante, dovranno comportarsi alla strega di creditori sociali e dimostrare le lesioni cagionate all’integrità del patrimonio della controllata.

La responsabilità ex art. 2947 c.c. invero è una figura ancora dibattuta (3) e purtuttavia è l’unica via percorribile dai creditori legali che dovranno provarne tutti i fatti costitutivi:

• l’esercizio di attività di direzione e coordinamento;
• la violazione dei principi di corretta gestione societaria;
• che le condotte abbiano provato una lesione all’integrità patrimoniale della società etero diretta.

Appare lampante la difficoltà per soggetti terzi, o dipendenti della società controllata, di provare tutti gli elementi per esperire tale azione. Vieppiù che in caso di fallimento della controllata, causata dalla malagestio della controllante, l’unico rimedio che appare esperibile è l’art. 2043 c.c. per il quale si ricalca il medesimo onere probatorio.

La via per riconoscere la responsabilità della controllata appare impervio per il lavoratore e diversamente non potrebbe essere, poiché una più semplice ricollegabilità delle società facenti parte di un gruppo lederebbe il principio di personalità della responsabilità.
Purtuttavia, qualora il raggruppamento di imprese risulti essere fittizio, si aprono diversi spiragli.

Il gruppo di imprese e la tutela dei lavoratori

Per lungo tempo i giudici di legittimità hanno ritenuto il raggruppamento di imprese un fenomeno con risvolti prettamente economici. Fino agli anni novanta difatti si è sempre negato che il collegamento di imprese potesse dar forma ad una rilevante unicità della parte datoriale.

D’altro canto il sistema non poteva rimanere silente davanti l’abuso del gruppo di imprese e già negli anni ’70 è stata riconosciuta l’unitarietà delle diverse società collegate, qualora il frazionamento societario fosse avvenuto in frode alla legge mediante interposizioni fittizie, o fiduciarie. (4)

Spartiacque dell’evoluzione giurisprudenziale è la pronuncia del Tribunale di Genova che nel 2001 dichiara: “la breccia nel generale principio dell’irrilevanza del gruppo societario si è allargata, estendendosi anche al di la delle ipotesi di fraudolenta costituzione di un sodalizio” (5)

Prendendo spunto da queste prime pronunce, la giurisprudenza ha riconosciuto che, al ricorrere di determinate condizioni oggettive, è possibile accertare la sussistenza di un “unitario centro di imputazione” dei rapporti di lavoro.

La prima ad arrivare a questo approdo giurisprudenziale è stata Cass. Lav. n. 2008 del 1995, con la quale i Giudici di Legittimità hanno riconosciuto il gruppo di imprese come un unico centro di imputazione dei rapporti di lavoro al ricorrere di quattro elementi:

• L’unicità della struttura organizzativa e produttiva;
• L’integrazione fra le attività esercitate dal gruppo collegate da un interesse comune;
• Il coordinamento tecnico ed amministrativo-finanziario delle società;
• L’utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa da parte di diverse società.

È facile comprendere come al ricorrere di questi presupposti il gruppo societario sia ben oltre il collegamento societario ma agisca, effettivamente, come un’unica entità con diverse branche e giustamente viene riconosciuto come tale.

Certamente non basta, quindi, il mero collegamento fra persone giuridiche per ritenere che gli obblighi inerenti ad un rapporto di lavoro subordinato si debbano estendere ad entrambe le società.

Gli indici di cui sopra sono certamente dei campanelli d’allarme a cui, successivamente è stato altresì affiancato un ulteriore indice rilevatore, ovvero la fittizietà della originaria società datrice di lavoro, costituita dai medesimi soci e dalle medesime infrastrutture delle altre (6) che si pone come complementare ed evoluzione dell’originaria simulazione del gruppo di imprese.

Il nuovo art. 2497 c.c. introdotto con D.lgs. 6/2003 ha portato al superamento dei quattro indici di cui sopra. Difatti l’unicità della struttura organizzativa, l’integrazione delle attività esercitate dal gruppo ed il coordinamento tecnico-amministrativo-finanziario, non sono più segnali di patologia ma appaiono essere null’altro che i tratti caratteristici del coordinamento fra società.

Assume così rilievo massimo il quarto requisito, ovvero l’utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa da parte di tutte le imprese del gruppo, apparentemente ultimo discrimine fra collegamento lecito ed illecito che dovrà essere attentamente valutato, insieme a tutti gli altri indici, per discriminare un rilevante ma fisiologico livello di integrazione dal patologico unico centro di imputazione degli interessi.

La Holding Personale

Nei fenomeni patologici del collegamento societario è possibile inserire, altresì, la holding personale di fatto.

La figura dell’holder occulto non è sconosciuta alla giurisprudenza (7) che purtuttavia ha affrontato la questione unicamente dal punto di vista fallimentare. In tutti i casi decisi si è riscontrata la presenza di una o più persone al ricorrere di alcuni presupposti come l’etero direzione illecita con il “comune interesse di realizzare un profitto personale a scapito delle società eterodirette, piegando ai propri fini personali gli interessi sociali e quelli dei creditori”(8).

Nell’ambito fallimentare l’holding personale assume una rilevanza di non poco momento permettendo la fallibilità anche delle persone che dietro lo scudo societario hanno effettivamente il controllo e la direzione del gruppo portandolo all’insolvenza.

Non è certo un caso che tale figura attualmente sia riscontrabile unicamente nella giurisprudenza fallimentare poiché solamente una curatela ha le possibilità e risorse per andare a provare i fumosi collegamenti societari, bancari ed economici che permettono di ricostruire l’intero assetto societario.

Difatti “È configurabile una holding di tipo personale costituente un’impresa commerciale suscettibile di fallimento, in quanto tale fonte di responsabilità diretta dell’imprenditore, quando questa agisca in nome proprio per il perseguimento di un risultato economico ottenuto attraverso l’attività svolta professionalmente con l’organizzazione ed il coordinamento dei fattori produttivi relativi al proprio gruppo di imprese.

Deve cioè trattarsi di una stabile organizzazione volta a determinare l’indirizzo, il controllo ed il coordinamento di altre società – non limitandosi quindi al mero esercizio dei poteri inerenti alla qualità di socio, che appunto, ne consente la configurabilità come autonoma impresa assoggettabile a fallimento”
(9).

E purtuttavia, appare allo scrivente che l’holding personale di fatto si inerisca in pieno diritto nell’odierna trattazione.

La dichiarata fallibilità dell’holder occulto ne determina fuori di ogni dubbio la responsabilità per tutti i crediti e debiti del gruppo e quindi anche dei crediti da lavoro.

Nel caso di specie vi sarà uno spostamento del centro di imputazione dei rapporti lavorativi dal gruppo societario – riconosciuto come mera estensione della volontà dell’amministratore occulto – alla holding personale che potrà essere chiamata, ad avviso dello scrivente, a rispondere dei crediti da lavoro dei dipendenti di tutte le società del gruppo.

1 Dati dal Censimento permanente imprese italiane condotto dall’ISTAT, 2019 https://www.istat.it/it/censimenti- permanenti/imprese
2 O. Manzotta, Diritto del lavoro, Giuffrè 2002, p. 221
3 Parte della dottrina (F. Galgano Il nuovo diritto delle società, trattato diretto da F. Galgano, XXIX 2003 pag. 185 ss) riconosce nell’art. 2947 c.c. una figura di responsabilità aquiliana, confermata dalla relazione di accompagnamento al D.Lgs. 6/2003 ed alla riproduzione dell’impostazione dell’art. 2043 c.c. . Un secondo orientamento (Renato Rordorf I gruppi nella recente riforma del diritto societario, Le società 5/2004, IPSOA) riconosce alla norma una natura contrattuale che fa sorgere la responsabilità della controllante alla violazione del rapporto obbligatorio nascente dall’acquisto della direzione del gruppo.
4 Cass. 29/04/1974 n. 1220; Cass. 02/07/1981 n. 4313
5 Tribunale di Genova 19/04/2001 in Riv. Giur. Lav. 2002 II pag. 299 e ss.
6 Cass. Lav. 10574/2019
7 Cass. 23344/2010; Cass. 372/2003; Cass 12113/2002; Cass. 1439/1990
8 Corte D’Appello Venezia 26/03/2021
9 Corte D’Appello Venezia 26/03/2021

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